Suolo e vino: quanto sono legati?

Quanto è importante il suolo per la tipicità di un vino?

 

Quando si parla di terroir, oltre alle caratteristiche climatiche e le tecniche vitivinicole, s’identifica il suolo come elemento principale nel definire una specifica area vitivinicola.

 

Molti enologi, produttori e giornalisti affermano che le caratteristiche del terreno sono di primaria importanza per la qualità intrinseca di un vino. Allo stesso modo i Disciplinari delle 5251 IGT, DOC e DOCG italiane definiscono e proteggono i relativi vini soprattutto in virtù del territorio dal quale provengono. Sempre più spesso i sommelier ci affascinano riconoscendo sentori di terroso, pietroso o minerale nel vino, li associano al suolo dove le uve sono state coltivate fino a descrivere con dovizia di particolari la storia geologica di quel vigneto. È universalmente riconosciuto il legame tra Champagne, Chablis e calcare o tra vini della Mosella e ardesia. Parlando di Brunello di Montalcino si nominano spesso galestro ed alberese e assaggiando i vini dell’Etna si pensa automaticamente a terreni di origine vulcanica.

 

Sicuramente la vite è molto più esigente in fatto di clima che di terreno ma non per questo si può ritenere indifferente alla natura del suolo. La nostra amata pianta si adatta con disinvoltura a molteplici tipologie di terreno ma la qualità e la quantità dell’uva che produce ne risentono.

 

Qual è il migliore terreno per la vite? 2

 

Ai terreni autoctoni sono da preferire quelli di origine alluvionale, glaciale o eolica perché sono generalmente più complessi e ricchi di elementi. Se dovessimo descrivere il vigneto ideale sarebbe caratterizzato da un terreno di medio impasto ovvero i suoi costituenti (argilla, limo e sabbia) si troverebbero in un buon equilibrio tra loro.

 

In generale i terreni meno indicati per la vite sono quelli umiferi e torbosi, molto ricchi in sostanza organica, quelli prevalentemente argillosi o eccessivamente ricchi in calcare. La presenza di argilla, come quella di humus, è importante per una buona disponibilità di nutrienti per la pianta (buona capacità di scambio cationico). Tuttavia, una percentuale troppo alta di argilla può diventare un problema: gonfiandosi quando accumula acqua e spaccandosi quando si secca, può provocare asfissia, marciume radicale e perfino danni fisici alle radici. Un contenuto eccessivo di calcare invece può provocare l’insolubilizzazione del ferro e del fosforo e renderli non disponibili per la pianta.

 

Si dice che la vite per produrre uva di qualità debba soffrire un po’. Questo è vero perché in presenza di troppo nutrimento e/o acqua la pianta si concentra sullo sviluppo vegetativo piuttosto che di uva e quest’ultima risulta meno concentrata nei suoi costituenti più nobili. Poiché l’acqua drena più facilmente in presenza di molta sabbia e scheletro, i terreni sabbiosi, anche se possono tendere a carenze idriche o di fertilità, quando condotti in maniera agronomicamente intelligente, permettono produzioni di uva di qualità. Le viti delle più apprezzate cantine di Bordeaux crescono su suoli ricchi di sabbia e ghiaia, non totalmente piani ed in prossimità di corsi d’acqua. Questi requisiti facilitano il drenaggio e lo sviluppo in profondità delle radici della vite, rendendola capace di resistere a piogge intense come a periodi d’intensa siccità.

 

L’altitudine, l’esposizione e la pendenza del vigneto delineano il suo microclima e quest’ultimo incide su fenomeni quali la dinamica di maturazione dell’uva e lo sviluppo di malattie fungine. Il colore del suolo regola sia la sua capacità di scaldarsi sia il suo potere riflettente, e di conseguenza la velocità di sviluppo delle radici e la maturazione dell’uva. La pratica di coprire di scisto nero la superficie dei vigneti nel Palatinato o di cenere i terreni dello Champagne era mirata proprio a modificare le proprietà originarie del suolo. Oggi con lo stesso intento s’interviene con inerbimento e pacciamatura.

 

La struttura ed il pH del suolo influenzano le sue proprietà chimiche e quindi tutti i fenomeni di solubilizzazione e immobilizzazione delle sostanze nutritive necessarie ad una buona crescita della vite: azoto, magnesio e ferro, necessari principalmente per la crescita vegetativa; potassio e fosforo, importanti per fioritura e produzione. Il viticoltore può intervenire facilmente modificando il contenuto di azoto con letame e fertilizzanti chimici. Mentre si assiste difficilmente a carenze di fosforo, la quantità di potassio è molto influenzata dalle proprietà del suolo e abbondante in suoli scistosi, ricchi di ardesia e, a volte, in quelli vulcanici. Inoltre la fertilità microbiologica del terreno, ovvero la presenza di una diversificata ed efficiente comunità di microrganismi, è fondamentale per svariate trasformazioni chimiche che avvengono nel suolo.

 

In conclusione, più della sua romantica storia geologica, le caratteristiche del suolo che permettono uno sviluppo equilibrato della vite sono altre, collegate soprattutto a presenza di acqua, profondità esplorabile delle radici e disponibilità di elementi nutritivi.

 

Quanto è indissolubile il legame tra suolo e vino?

 

Mettete a confronto un tipico Nebbiolo del Roero con un Nebbiolo delle Langhe: sono due vini prodotti con la stessa varietà di uva e provenienti da due territori piemontesi molto vicini tra loro, ma il primo avrà uno stile profumato ed elegante, il secondo grande struttura e colore. Gli esperti del settore spiegheranno il fenomeno descrivendo i suoli sabbiosi, di origine marina, del Roero e quelli marnosi, ricchi di argilla, delle Langhe. È la sabbia a conferire ai vini leggerezza e profumo mentre l’argilla origina tendenzialmente prodotti con colore intenso e buona gradazione alcolica.

 

Queste regole generali, conosciute da enologi e viticoltori, sono state confermate anche da uno studio di pochi anni fa4, il quale ha mostrato una la correlazione tra contenuto in alcol, composti fenolici e acidità totale di alcuni vini e caratteristiche fisiche dei suoli di provenienza.

 

Tuttavia, diventa problematico associare un’intera area viticola con un solo tipo di suolo. Pensando sempre alle Langhe, conosciute in tutto il mondo per le produzioni vitivinicole di qualità, troviamo un territorio caratterizzato da otto diverse formazioni rocciose, le quali nel tempo hanno dato origine a suoli eterogenei per struttura, contenuto in calcare, etc.

 

I confini delle DOC e DOCG non corrispondono quasi mai a reali confini geologici. Inoltre, la varietà degli orizzonti geologici non è considerata ma, dal momento che le radici della vite sono in grado di raggiungere una notevole profondità, il suolo può mutare considerevolmente. Probabilmente anche i trentuno ettari della DOCG più piccola d’Italia, Il Moscato di Scanzo7, presentano una certa variabilità.

 

La questione si complica dal momento in cui le moderne tecniche permettono di modificate artificialmente il suolo: movimentazione di terra, livellamenti, terrazzamenti e altri metodi di restyling del terreno sono ampliamente utilizzati, mettendo in secondo piano la geologia naturale del territorio. Allo stesso modo la disponibilità di acqua nel terreno può essere gestita con le tecniche di irrigazione del vigneto.

 

Probabilmente è a causa di queste molteplici variabili che nel mondo si producono vini simili da terreni completamente differenti e vini molti diversi su suoli dalle caratteristiche simili.

 

Il terreno influenza le caratteristiche organolettiche del vino?

 

Le peculiarità del suolo influenzano il comportamento della vite e le qualità dell’uva che produce ma resta ancora da chiarire quanto queste si ripercuotano su aroma e gusto del vino.

 

Negli ultimi anni si è molto abusato del termine mineralità. Nonostante ciò, non è ancora chiaro da quali componenti chimici sia determinata e se questi siano legati in qualche modo alle caratteristiche del suolo. Per Attilio Scienza2 i vini italiani minerali sono quelli che provengono da ambienti freddi e hanno acidità alta come Soave, Timorasso e Vernaccia di San Gimignano. Al sud sono meno numerosi ma si trovano alcuni esempi sull’Etna, in Irpinia o nei Campi Flegrei.

 

Non si è ancora concordi neanche se associare il termine mineralità ad un aroma, ad un gusto oppure ad una sensazione gustativa del vino. Chiedendo a molti esperti del settore e degustatori, la maggior parte di loro ha collegato la mineralità a sensazioni olfattive quali pietra focaia, bagnata o calda. Un secondo numeroso gruppo del panel ha parlato invece di sensazioni gustative di acidità e freschezza mentre altri hanno associato la mineralità a iodio e salino. È emerso come l’idea di mineralità nel vino sia estremamente soggettiva, tuttavia, la cosa più interessante è stata che la maggior parte dei componenti del gruppo in esame l’abbia genericamente collegata al terroir.5 Ma fino a che punto la mineralità, ed altri aromi presenti nel vino, sono da imputare direttamente alla qualità del suolo del vigneto piuttosto che alle condizioni climatiche e soprattutto alla storia, alla cultura ed alle tradizionali tecniche in vigna e cantina di un territorio?

 

Degustando i vini provenienti dalla regione del Priorat, in Spagna, si riconoscono spesso delle note di grafite. Casualmente, molti degustatori sono coscienti che nella zona si trovino delle particolari rocce ricche in grafite. Peccato però che la grafite sia insolubile e inodore. Similmente è molto evocativo l’aroma di cenere vulcanica trovato spesso nei vini da uva Piedirosso cresciuta sulle pendici del Vesuvio. Tuttavia, i geologi sanno che le rocce vulcaniche, composte di silicati, sono prive di sapore.

 

Anche un naso estremamente allenato non sarebbe in grado di dedurre la geologia del vigneto in un bicchiere di vino per almeno tre motivi: in primo luogo, i composti cristallini inorganici presenti nel suolo sono strutturalmente molto diversi dai minerali presenti nel vino (ioni solubili); secondo, le rocce non sono unicamente classificate sulla base della loro composizione chimica (la quale potrebbe certamente influenzare le caratteristiche del vino) e terzo, ad eccezione del cloruro di sodio e pochi altri minerali molto complessi, le roccia è inodore e insapore.

 

Un altro aspetto da considerare è che i composti inorganici presenti nel vino finito rappresentano solo lo 0,2 % del totale: si parla di qualche decina di milligrammi litro per quanto riguarda potassio, magnesio, calcio e sodio, poche centinaia di microgrammi litro per il ferro e ancora meno per alluminio, rame, piombo, zinco e cromo. Nella maggior parte dei casi si tratta di quantità troppo piccole per essere percepite dal palato umano e non essere nascoste da altri composti organici presenti nel vino come gli aromi prodotti durante la fermentazione e l’affinamento. Inoltre, nel caso degli ioni metallici, la presenza di questi composti non è affatto desiderabile, perché causa un gusto amarognolo e problemi di torbidità.

 

Ammettendo poi che qualche minerale riesca passare dal suolo al mosto, la trasformazione microbiologica che avviene durante la fermentazione e gli interventi in cantina, come la chiarifica, possono alterare completamente la composizione del vino.

 

In conclusione, sembra che la geologia del vigneto non sia responsabile, in modo diretto e dimostrabile, di alcun particolare aroma nel vino.

 

Non si può escludere un ruolo indiretto, da parte dei composti inorganici, nei complessi processi metabolici che si verificano durante la crescita della vite ed il processo di vinificazione. Gli ioni metallici, ad esempio, potrebbero agire come coenzimi e quindi, anche in piccole quantità, velocizzare o rallentare alcune reazioni chimiche durante fermentazione ed affinamento. Similmente durante la degustazione potrebbero parzialmente influenzare l’interazione tra le molecole aromatiche ed il palato.

 

Sicuramente sono necessarie ulteriori investigazioni da parte del mondo scientifico per fare maggiore luce sul tema e chiarire se il carattere distintivo, tipico che sembra legare tutti i vini prodotti in una determinata regione vinicola faccia solo parte della straordinaria fascinazione che, nel momento della degustazione, ci avvolge e suggestiona.

 

Voi cosa ne pensate?

 

  1. https://www.federdoc.com/new/wp-content/uploads/2015/03/federdoc-vinitaly2016-web.pdf
  2. https://www.youtube.com/watch?v=ejV2JjcUsQY&feature=emb_logo
  3. Viticoltura moderna. Eynard I. e Dalmasso G. Hoepli 1990
  4. SCHLOSSER, J., REYNOLDS, A.G., KING, M. and CLIFF, M. (2005) Canadian terroir: sensory characterization of Chardonnay in the Niagara Peninsula. Food Research International, 38, 11-18
  5. Ballester, J.; Mihnea, M.; Peyron, D.; Valentin, D. Exploring minerality of Burgundy Chardonnay wines: A sensory approach with wine experts and trained panellists. Aust. J. Grape Wine Res. 2013, 19, 140–152
  6. https://www.langhevini.it/il-nostro-territorio/geologia/
  7. https://www.consorziomoscatodiscanzo.it/caratteristiche/